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Farsi pane per gli altri

Ultimamente sono in contatto con alcune persone che stanno vivendo delle situazioni piuttosto difficili, malattia, precarietaàlavorativa, solitudine, e ho davanti l’opportunitaàdi farmi “pane per gli altri” come ci chiede il Signore e don Pino, un sacerdote, che ultimamente vado ad ascoltare. Ma cosa significa, esattamente, farsi pane per un altro e mi chiedo, come si fa a farlo nel modo giusto?

Per quanto mi riguarda, ma credo per molte persone, penso che la cosa piuàdifficile da attuare sia, innanzi tutto, riuscire a disporre il proprio animo ad aprirsi all’altro cercando di eliminare gli aspetti piuàegoistici che, spesso, ci impediscono di donarci liberamente e gratuitamente ma al contrario ’aspettandoci di guadagnare qualcosa in cambio, fosse anche solo la sensazione di avere la coscienza a posto o di sentirsi bravi nell’aver fatto i compiti a casa. No, penso che farsi pane sia molto di più che un dare e avere, farsi nutrimento per l’altro implica un impegno importante nel conquistare quella disposizione interiore di apertura all’altro, che significa allenare il proprio cuore ad abbandonare lo spirito di giudizio, e predisporlo all’ascolto e all’accoglienza, significa rinunciare all’aspettativa egoistica di essere elogiati, apprezzati, considerati che sarà, tuttavia, ricompensata dalla gratitudine di chi avremo aiutato, e restare convinti del proprio operato anche se cioànon accadesse. Significa riuscire a fare qualcosa davvero in modo disinteressato se non per il desiderio di procurare il bene esclusivo dell’altro. Ma penso anche, che siaimportante farlo in uno spirito di umiltà, cercando di non accollarsi sulle spalle le sorti del mondo, infatti non abbiamo la possibilitaàdi risolvere la vita degli altri, possiamo solo aiutarli ad affrontarla.

Se affrontiamo il problema di un’altra persona con l’obiettivo di risolverlo a tutti i costi rischieremmo, prima di tutto, di andare incontro ad una delusione, secondo di avere un approccio troppo invadente o presuntuoso soffocando una cosa necessaria, ossia, la possibilitaàdell’altro di agire personalmente e consapevolmente sulla propria vita. In effetti il consiglio che ci viene da Gesuàè: “Non preoccuparti del risultato. E’ necessario affrontare le situazioni senza ansie o eccessive preoccupazioni per gli altri. Non sei la loro madre e il loro padre. Tu fa la tua parte e ricordati che sono grandi abbastanza. La loro vita è nelle loro mani , ma non tocca a te salvare il mondo. Ci pensa giaàDio” (don Marco Pedron).

Trovo questa frase molto liberatoria e deresponsabilizzante, senza nulla togliere all’impegno necessario che dobbiamo mettere nel dono di sè. Quello che si deve fare, ad imitazione di Gesù, è accogliere l’altro dove si trova al momento in cui lo incontriamo, e aspettare i suoi tempi, anche se non combaciano con i nostri, fargli sentire che gli siamo vicini, se ha delle paure che non ha ancora superato, o se ancora non ha preso determinate decisioni, va accompagnato senza fare pressione, piuttosto aiutandolo a comprendere quale potrebbe essere la scelta migliore. Gesuàfaceva cosiàcon le persone: le accoglieva e le prendeva nella situazione dove si trovavano e faceva con loro un cammino. Era paziente, sapeva che ogni cosa ha il suo tempo. Gesuànon ha mai guardato la situazione di una persona (quanto fosse lontana da Dio, peccatrice, ammalata); Gesuàguardava il cuore. Gesuàè il compagno che ci accompagna (Lc 24,31: i discepoli di Emmaus). Lui ci prende dove siamo e ci sta vicino.

Bisogna cercare di non avere ansie, non avere patemi. E comprendere che se gli altri non vogliono accettare il nostro aiuto o non rispondono come ci aspetteremmo, non ci possiamo fare niente. Se non ci accolgono, non bisogna preoccuparsi, ne arrabbiarsi, non sentirsi umiliati o falliti e non bisogna abbattersi, in fondo non siamo onnipotenti e non possiamo salvare il mondo. Eàmolto difficile cambiare per certe persone e lo saraàancora di più, quanto piuàsi sentiranno pressati o obbligati.

Cioàche possiamo fare è solo dare una possibilità, sperando che l’altro l’accolga, ma se non lo farà, resteraàun suo problema, ognuno è responsabile davanti a Dio della propria vita. Dio chiederaàa te conto della tua vita. Della vita dell’altro, lo chiederaàa lui.
Da tanto tempo cerco di proporre ad una persona davvero infelice, una prospettiva diversa di vedere la vita

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nonostante le immancabili sofferenze e i lati, a volte incomprensibili, degli eventi, parlandole di Dio, di come ha aiutato me, tentando di farle capire che il suo amore ci guarisce, ma continuo ad ottenere perentori rifiuti, che ho, tristemente, accolto, restando comunque disponibile al dialogo, e aspettando la sua decisione di aprirsi se e quando vorrà.

Concludo con queste parole sempre di don Marco Pedron:“Cioàche è decisivo per la vita cristiana è la fede. La fede è la capacitaàdi poter vedere, riconoscere, percepire che Lui vive, agisce, si manifesta nella nostra vita. Dio non puoàoperare nulla se l’uomo non lo riconosce. Dio è assente, se per l’uomo Lui è assente. Se l’uomo non si apre alla fede nulla gli saraàpossibile e la vita saraàun continuo tormento e un errare. La fede non è capire: la fede è l’esperienza, l’incontro con Lui vivo. Ma se non vogliamo lasciarci coinvolgere, tirare dentro, cambiare, neanche Dio lo puoàfare per noi. Eàmolto difficile per noi accettare e accogliere questo, perchè teoricamente, con le parole tutti noi vogliamo Dio, tutti noi lo amiamo, tutti noi diciamo di volerlo accogliere. E’ molto difficile per noi e responsabilizzante accettare che Dio ci salvi, ma solo se noi lo vogliamo. Che Dio ci ami, ma solo se noi ci apriamo. Che Dio ci cambi, ma solo se noi glielo permettiamo. Che Dio ci porti al centro della Vita, ma solo se noi camminiamo. Dio, senza di me, non puoÌ€ far nulla con me”.

Gia, Dio ci salva, ma solo se noi lo vogliamo, ci ama, ma noi lo sentiamo solo se ci apriamo al suo amore, ci cambia solo se lo lasciamo fare, ci conduce alla meta, ma solo se noi camminiamo anche con le nostre gambe, insomma siamo responsabili della nostra vita, ma se accettiamo di essere aiutati da Lui raggiungeremo i nostri obiettivi, sicuramente piuàfacilmente. Farsi pane significa rendere vivo l’amore di Dio, in un incontro tra l’amore che riceviamo da Lui e l’amore che diamo all’altro, Gesuàsi è fatto pane per noi e noi dobbiamo farci pane per gli altri, questo è il senso della comunione, l’eucarestia è l’unione comune tra tutti i figli di Dio. In questa ottica farsi pane per l’altro significa accettare di dare la nostra collaborazione a Dio, affinchè il suo aiuto ed il suo amore arrivino dove è necessario e oltre, magari fino ai confini della terra, altrimenti perchè ci avrebbe messo su di essa. Eàun obiettivo ambizioso e difficilissimo ma possiamo provarci, prima di dire non ce la faccio.